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Da il piccolo di Trieste di domenica 11 aprile 2021

2021 04 11 diego manna il piccolo trieste mini

Un percorso nato quasi per gioco trasformatosi in una vera professione tra libri scritti e pubblicati ad altri autori, giochi da tavolo, eventi curiosi

Manna, il biologo diventato editore: «L’ingaggio di Furian e Maxino? Spritz»

 
di Maurizio Cattaruzza
 
No guardi, l’ostello di Miramare è tutto da un’altra parte. La battuta sgorga spontanea di fronte al biologo-scrittore-editore Diego Manna, il quale si presenta all’appuntamento con uno zaino arancione da sherpa himalayano, capello lungo tirato indietro versione primo Ligabue. Abbigliamento da gita. Stona solo un apparecchio nero che tiene in mano, in un primo momento si potrebbe scambiarlo per un’autoradio estraibile, cimelio dello scorso secolo. In realtà è la batteria della bici per pigri, quella elettrica. Ma ha un alibi, la salita di San Luigi.
Diego Manna è il mandante, neanche tanto occulto, di operazioni editoriali solo all’apparenza suicide ma che invece sul mercato triestino fanno buonissimi numeri. Da anni inonda librerie e cartolerie di piccoli libricini colorati della collana “Strafanici” e di alcuni volumi quasi mai seri che esaltano il dialetto triestino di cui Manna è un fiero paladino e divulgatore. Prodotti anche da banco, come il Benagol in farmacia, ma che catturano l’attenzione dell’acquirente quando arriva alla cassa. «Bon, la me daghi anche questo...». Tutti questi “la me daghi anche questo” hanno portato a migliaia di copie vendute. Volumetti agili, leggeri di peso e contenuto, ma gradevoli. Su tutti c’è la griffe della scuderia White Cocal Press, la sua.
 
Patente e libretto, signor Manna vuole favorire le sue generalità, siamo ancora in zona rossa.
Mi chiamo Diego Manna e sono nato a Trieste il 4 marzo 1979. Coniugato. Ho vissuto tra Servola e Opicina, in campo Romano dove adesso vogliono far arrivare l’ovovia.
 
Risulta che lei sappia parlare e scrivere anche in triestinglish che deve essere meglio dell’esperanto. Come è nata questa idea?
Allora partiamo dalla premessa che io sono un biologo e quindi leggevo spesso articoli scientifici in inglese. Per divertimento mi sono messo a scrivere finti articoli scientifici in un inglese mescolato all’italiano sulle cose nostre più care, le clanfe, come arrivare in bici a Opicina e altre amenità. Una presa in giro sugli articoli accademici. Ma prima di me ci era arrivato Fabio Fumi. Sul web questa roba impazzava e quindi ho deciso di pubblicare un primo libro. A scommettere su questa mia iniziativa è stata un casa editrice friulana e così è nata la saga dei Monon Behavior.
 
Biologo, scrittore, editore: ha deciso cosa farà da grande?
L’editore. Faccio solo questo dal 2019 quando ho aperto la White Cocal Press, nata per pubblicare i miei scritti ma poi mi arrivano buone proposte dagli altri e devono accantonare quasi tutti i miei progetti.
Come diceva un famoso giornalista-scrittore, Luca Goldoni, a proposito di questi mestieri di carta “sempre meglio che lavorare”.
Vero, approvo.
 
Ma è un’attività redditizia? Ci si campa?
Mah, è redditizia soprattutto dal punto di vista mentale, per quanto riguarda la qualità della vita. Sono contento così. Basta uno in famiglia con un impiego serio...
 
Ma tra libri, giochi da tavolo, eventi, è diventato un lavoro vero?
Sì è così, io ci scherzo perché mi piace ma è un lavoro vero a cui vanno aggiunte le consulenze fatte per i giochi. Ne abbiamo fatta una per un gioco commissionato dall’Ogs sulla sostenibilità della pesca. Per un periodo ho anche lavorato nella riserva di Miramare come educatore ambientale. Bel lavoro ma meglio l’editore.
 
Già, con la collana “Strafanici” ha venduto un botto...
Non posso lamentarmi, nella nostra graduatoria è in testa il Manuale della Boba de Borgo di Flavio Furian e Massimiliano Cernecca con 7 mila copie, seguito a 6 mila da Pedocin di Micol Brusaferro. Adesso uscirà l’ottavo della serie sul calcio a sette triestino.
 
Secondo indiscrezioni, la trattativa per accaparrarsi gli autori della Boba de Borgo pare sia andata avanti mesi. Si dice che volevano due spritz a copia, uno a testa...
Confermo, ma alla fine hanno accettato la mia proposta, uno spritz a copia o in alternativa una birra Lasko. Ora sono messi male con il fegato.
 
Neppure con i giochi è andata così male ma con il friulano Frico si può intravedere un alto tradimento nei confronti della triestinità, non crede?
Alt, non doveva chiamarsi proprio così. C’era la K al posto della C ma gli avvocati di una casa che produce giochi ci hanno diffidati, tutto questo assomigliava a un famoso gioco da tavolo e su consiglio di un nostro legale abbiamo cambiato qualcosa. Ad un certo punto temevamo che la nostra disegnatrice Erika dovesse cambiare la sua K in C. Comunque ne abbiamo venduti 6 mila e 2 mila scatole di Barkolana. È ormai pronto il terzo gioco “Tachite al tram” dove nel tragitto possono capitarti tutta una serie di disgrazie.
 
Attività allargata anche ad altri eventi, a proposito da piccolo si tuffava a clanfa bagnando tutti i parenti?
Sinceramente non sono un grande specialista, schizzo poco quando entro in acqua. Ma io alle clanfe son arrivato dopo la prima edizione delle Olimpiadi ideate da Mauro Vascotto e Andrea Pecile. Mi era sembrata una figata, una competizione nata da una monada e così mi sono aggiunto a loro. Ora aspettiamo che ci costruiscano il clanfodromo.
 
Per non parlare della Rampigada Santa, un’altra pazzia?
Una scommessa. Pensavamo di non farcela. Un’impresa per chiudere Scala Santa. Condivisa con Mauro Vascotto e Diego Ziodato, anche qui mi sono accodato. Come patito della bici mi sono subito entusiasmato, ho provato a farla e ci sono riuscito. C’è chi la competizione la prende sul serio e chi la interpreta in maniera goliardica. I residenti organizzano grigliate nei giardini per tentare i concorrenti e qualcuno ci casca.
 
Com’è diventato un cultore del dialetto triestino?
Da quando sono nato a casa abbiamo sempre parlato in triestino, certe espressioni mi hanno sempre divertito. Solo a scuola e all’università mi sono adeguato a parlare in lingua. A Trieste abbiamo sempre avuto grandi personaggi che hanno esaltato il dialetto con i loro spettacoli. Basta pensare a Ricky Malva, Maxino, Toni Bruna, ai Sardoni Barcolani Vivi, alle Mitiche Pirie, a Casa Stipancich e tanti altri. Per me è una passione.
 
Tuttavia la comicità e l’umorismo triestini non sono facilmente esportabili.
Condivido a parte qualche eccezione. Noi triestini siamo ironici, autoironici e autoreferenziali, quello che funziona qui difficilmente funziona fuori Trieste a livello di comicità. I viz fanno ridere noi, perché ci riferiamo a cose nostre. Noi ridiamo per il capo in B e i cevapcici, difficile che accada fuori. I comici triestini qui divertono e si divertono tanto con i loro spettacoli, se vanno fuori devono un po’ aggiustare il tiro. Le eccezioni? Flavio Furian, il Pupkin e poi Toni Bruna che canta in triestino. Una questione di sonorità. Uno che ce l’ha proprio fatta con un triestino universale è Lelio Luttazzi con “el can de trieste”. Io stesso quando avevo preso in mano le Maldobrie all’inizio ero in difficoltà.
 
Siamo arrivati dove si doveva arrivare, a Lino Carpinteri e Mariano Faraguna. Due maestri, veri punti di riferimento con Maldobrie e La Cittadella.
Sono un punto di partenza e un esempio per chi scrive in triestino. E poi abbiamo un docente di dialetto unico come Nereo Zeper. La mia idea del dialetto è una lingua in movimento, piena di musicalità.
 
Troverà l’Ostello?—
 
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